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L'ELABORAZIONE DEL LUTTO

Se esiste una cosa certa nella vita, è proprio la morte. Come evento naturale, noi tutti sappiamo che nasciamo e moriamo, nonostante questa certezza la morte rappresenta ancora un forte tabù sociale, emozionale e spirituale.

A prescindere dalla credenza di una vita dopo la morte o dall’età in cui la persona viene a mancare, quest’evento suscita tipicamente delle reazioni, chiamate lutto, che possono essere sintetizzate in queste fasi (Kubler-Ross, 1990):
        

  • Negazione – un meccanismo di difesa che spinge a rifiutare l’accaduto, a disconoscerlo, a non prenderne consapevolezza.;
  • Rabbia – subentra un sentimento di collera che può essere legato al dolore, all’impotenza, al senso di colpa, ai rimpianti, ai rimorsi, ai “se e ma”;
  •  Negoziazione – comincia una sorta di ricerca delle risposte per trovare delle spiegazioni a quanto accaduto, scientifiche, religiose, razionali o altro;
  •  Depressione – sopraggiunge la tristezza abbandonica della perdita, della distanza e separazione;
  •  Accettazione – in fine giunge l’accettazione del dolore, della separazione, della consapevolezza del cambiamento che ne consegue e la possibilità di andare avanti con la propria vita, nonostante tutto.

Attraversare tutte e 5 queste fasi vuol dire elaborare il lutto, quando una di esse viene a mancare o si protrae per lunghi periodi (oltre i 2 anni), l’elaborazione non è avvenuta e può diventare patologico.
Il lutto non riguarda solo la morte fisica di una persona, ma tutto ciò che ha a che fare con la perdita, la separazione e quindi con l’attaccamento. Secondo Bowlby (1973) chi ha avuto un attaccamento insicuro al proprio genitore, da piccolo, al momento della separazione e del riavvicinamento alla figura di attaccamento, metteva in atto uno schema comportamentale che tendenzialmente continua a ripetere nelle successive relazioni significative e ha più difficoltà a superare un lutto.

Persone, animali, cose concrete o astratte, possono essere oggetti del proprio lutto: pensiamo a quando abbiamo perso un oggetto, quando è morto il nostro animale domestico o quando si è rotta un’amicizia o una storia d’amore… probabilmente le nostre reazioni sono state simili tra di loro e alle 5 fasi. Infatti il lutto è definito come uno “stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo che ha fatto parte integrante della nostra esistenza”, può riferirsi a un “oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo” oppure un “oggetto interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale o un fallimento” (Galimberti, 1999).


Alcune leggende rappresentate in libri e film, ma anche credenze religiose, sostengono che quando una persona muore, lo spirito o l’anima rimangano “intrappolate” sulla Terra se hanno qualcosa in sospeso e solo dopo aver risolto la questione sono libere di andare nel luogo a loro destinato. Per certi versi anche chi rimane vivo e non elabora il lutto, ha qualcosa in sospeso, ne rimane legato e non riesce a separarsene, restando nella negazione, nel dolore, nella rabbia o nella tristezza. Solo l’accettazione potrà lasciar liberi di andare.

La capacità di adattamento è insito nell’essere umano, nonostante ciò, non sempre tutto avviene in automatico e facilmente, per questo un sostegno psicologico da parte di un professionista abilitato, può essere un aiuto per superare ed elaborare le rotture, le separazioni e le perdite di ciò che è caro. Ogni Psicologo utilizza di base il colloquio e la relazione, in aggiunta possono esserci tecniche da usare per supportare la persona e raggiungere specifici obiettivi. A volte l’elaborazione mentale è sufficiente per alleviare il disagio, ma profondamente le emozioni sono ancora vivide, inespresse o bloccate in zone del corpo (la gola, il cuore la pancia), causando anche possibili malesseri psicosomatici. Per questo e per altre ragioni la mindfulness psicosomatica rappresenta uno strumento di vitale importanza per prendere consapevolezza di sé, dei propri stati interni (cognitivi, emotivi e corporei), per individuare le zone di blocco psicosomatico in cui le emozioni sono inibite o “esplose” e per giungere all’accettazione di ciò che è andato e che non può essere cambiato.

Oltre a supportare la persona che ha “perso” qualcuno o qualcosa, esistono lavori di accompagnamento alla morte per quelle persone che hanno malattie terminali o che sono vicine alla morte, portando non solo all’accettazione, ma aiutando la persona, attraverso la mindfulness, a sperimentare stati di benessere, al miglioramento dell’umore e riduzione del dolore.

Per ulteriori approfondimenti:
Chiesa, A. (2011). Gli interventi basati sulla mindfulness: Cosa sono, come agiscono, quando utilizzarli. Roma: Giovanni Fioriti Editore.
Kubler-Ross, E. (1990). La morte e il morire. Assisi: Cittadella
Montecucco, N. (2010). Psicosomatica Olistica. Mediterranee
Solito, F. (2013). La Mindfullness nella perdita e nella preparazione alla morte, N. 11.